Perchè tutto è meglio coi nani. A parte forse i giocatori di basket.
Amenità a parte, nel seguente BG si prova a dare un approfondimento nei confronti dell’allineamento Legale di D&D (poi parlo degli allineamenti qua. Spoiler? Secondo me lasciano un po’ il tempo che trovano). Però diciamo che spero possa essere uno spunto per qualcuno per caratterizzare il proprio personaggio. Idea nata per il Knight di D&D 3.5, poi rigiocato con un Cavalier in Pathfinder.
“Non ho mai vissuto con la mia famiglia. Non l’ho nemmeno, mai conosciuta. La mia famiglia d’origine, almeno. Non so cosa sia successo di preciso, ma i miei genitori adottivi mi raccontarono di avermi trovato in un villaggio, il mio villaggio, completamente raso al suolo. Unico sopravvissuto in mezzo a centinaia di corpi di Nani dei Sogni massacrati.
Anche i miei nuovi genitori erano nani, Nani delle Colline, però. Non che mi abbiano mai fatto pesare la differenza, ma non ho mai appreso nulla della cultura della mia razza. La città in cui ho vissuto era molto grande, umani e nani vivevano pacificamente uno accanto all’altro, si trovavano anche membri di altre razze. Al compimento dei 40 anni iniziai a lavorare in miniera e a ricevere l’addestramento militare. Venni così in contatto con alcuni paladini di Moradin, la cui dedizione e fermezza mi affascinò immediatamente. Venni così indirizzato all’addestramento da scudiero. Ho uno strano ricordo di quel periodo: mi piaceva lo stile di combattimento che veniva insegnato a noi aspiranti, così come il modo di insegnarci. Era anche bello, a suo modo, assistere alle funzioni e ascoltare i dogmi della religione di Moradin. Certo era massacrante. Al mattino miniera. Per 9 ore. Poi a piedi verso la città, a seguire l’addestramento da paladino. Ma ai tempi mi piaceva.
Cambiò tutto dopo quella notte.
Stavo rincasando dopo l’addestramento. Vidi, dentro a un vicolo male illuminato, un gruppo di ragazzi armati di bastoni, che pestavano due uomini. Dei passanti guardavano in quella direzione, senza muoversi, come se fossero a teatro. Qualcuno doveva intervenire.
Mi avvicinai gridando: <Perchè non ve la prendete con qualcuno della mia taglia?>. Probabilmente i ragazzi lo facevano solo per divertirsi, e non per rapinare, perchè appena arrivai, decisero tutti che era molto più spassoso dedicarsi a me, piuttosto che ai due malcapitati. Non fu divertente. Certo non erano addestrati, e nemmeno molto forti, ma erano almeno in 5. I precedenti bersagli fuggirono a gambe levate, nessuno degli spettatori mosse un dito. Finì solo quando il capobranco ruppe il suo bastone sulla mia testa.
Rimasi li barcollante qualche minuto, poi mi misi ad arrancare verso casa, superando gli ultimi spettatori rimasti. Pensai molto, il viaggio fu lungo ed ebbi molto tempo. Pensai che c’è qualcosa che non va, che l’umanità non può essere fondamentalmente buona, che sarebbe falso immaginare, dietro ad ogni cattivo, un buono, in attesa di essere redento, che se uno decide di essere buono lo fa solo per quieto vivere, e non perchè voglia veramente portare il bene nel mondo, che non ha senso cercare di aiutare delle persone che come hobby maltrattano il proprio prossimo, o assistono passivamente alla violenza. Arrivai a casa. Il giorno dopo abbandonai l’accademia dei paladini e mi arruolai nell’esercito. Fui fortunato: trova infatti un corpo speciale, i cavalieri, con un modo di combattere diverso da quello della rozza marmaglia, ma senza tutte quelle false ramanzine sulla necessità di portare il bene. Questo fu quello che feci, per anni.
Il resto è storia recente: avevamo appena preso la città di Alkamar, e confesso, senza falsa modestia, di aver avuto un ruolo chiave nell’operazione. Quindi il comandante decide di premiarmi, e a battaglia finita mi conduce attraverso due ali di folla festante, su un palco improvvisato. Mi mostra il comandante nemico legato e inerme. Mi porge la sua ascia. <Forza, Clypeus. Uccidilo>. La folla rumoreggia. Tentenno. Raccolgo le idee. Il comandante mi esorta. Non ha senso: se lo uccidessi così, sarebbe ingiusto. È un nemico, ma deve ricevere un processo. Certo si tratta di un ordine diretto di un superiore, ma eseguirlo significa avvallare una procedura caotica, disgregante nei confronti dell’ordine pubblico. Non saremmo meglio delle bestie. Lo guardo. Getto l’ascia ai miei piedi. La folla rumoreggia, sembra non sappia fare altro. Non arrivo nemmeno alle scale: vengo bloccato dalle guardie, e, questa volta dopo un regolare processo, vengo incarcerato. Rimango li pochi mesi, mi viene proposto un accordo, uno sconto sulla pena in cambio dell’arruolamento per una missione non meglio definita. Tutto sommato ragionevole, no?”
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