Oggi al posto dell’articolo vi beccate un racconto. No, non scappate, prometto che poi vi faccio anche delle guide!
Beh, mi chiedevo se nei mondi fantasy (non solo quelli di D&D e dei GdR) ci fossero dei racconti che dal loro punto di vista fossero fantasy. Insomma, nel nostro mondo parliamo di fatine e magia, invece i piccoli elfi, con che fiabe crescono? Saranno super high fantasy? Iper tecnologiche? Quindi mi è venuto in mente un raccontino in cui viene letta una fiaba “fantasy” a dei bambini. Boh, smetto di parlarne, tanto sta qui sotto e potete leggervelo direttamente.
Torri di Vetro Arcano aggrappate sull’escrescenza nodosa del mastodontico Albero della Vita. Le descrizioni di chi aveva visto da lontano Eshirdalein, l’antica città elfica, erano variazioni sul tema della frase precedente.
Quando invece vi foste ritrovati a parlare con un umano (o un altro membro di una razza senza magia innata) che avesse passato almeno qualche ora all’interno della città, vi sareste imbattuti in una moltitudine di descrizioni differenti, in quanto ogni visitatore si sarebbe lasciato impressionare da un particolare diverso.
I parchi ricolmi di piante esotiche e misteriose dagli odori travolgenti, i piccoli folletti di ogni genere e sorta che vivono in armonia con gli elfi e sfrecciano trillando per la città, le vesti quasi ieratiche indossate dalla maggior parte della popolazione, l’uso della magia per risolvere le incombenze quotidiane, dall’illuminazione al trasporto degli oggetti. I motivi per restare profondamente colpiti non mancavano.
Diversa era la considerazione che avevano della città i suoi abitanti, specialmente quelli più giovani, mai usciti a visitare il resto del mondo. Per loro era semplicemente casa.
Casa. Con tutti i pro e i contro. Casa come sicurezza, conforto familiare, luogo di ritrovo con gli amici. Ma anche casa come consuetudine, perfino banalità o addirittura noia.
È con queste convinzioni ben radicate nel preconscio che un gruppo di elfi a malapena adolescenti si ritrova in una fresca mattina autunnale nei vicoli che si intrecciano alle spalle del tempio.
Testa china, passo affrettato, bisbigli che si trasformano in gridolini strozzati per l’emozione, sguardi frenetici e sospettosi verso i passanti.
Una breve conta per verificare la presenza di tutte le persone e di tutti i dolci necessari e poi via di corsa.
Dopo pochi minuti arrivano alla vecchia biblioteca. In altre città sembrerebbe un edificio splendente, ma il confronto con le costruzioni vicine fa subito intuire la scarsa considerazione riservata a questo luogo.
I ragazzi entrano, finalmente al sicuro alzano il tono di voce.
“Ciao R, siamo qua!”. Una cacofonia di frasi simili rimbomba nella sala, finché una figura non si palesa, spuntando da dietro uno scaffale. Un Tielfo. A volte nascono nelle famiglie elfiche, se un antenato apparteneva alla stirpe dei Tiefling. In questo caso il genotipo era palesato fenotipicamente da una lunga coda diavolina e da canini un po’ più pronunciati della media.
Un Tielfo anziano, per la precisione. Leggermente curvo e appesantito dagli anni e dal viso rugoso.
“Eccovi qua, banda di scalcagnati. Non vi siete ancora trovati un passatempo degno di questo nome?” La sua voce bassa e leggermente roca contrastava con gli squittii dei ragazzi.
“Dai, R, noi vogliamo che tu ci legga ancora una delle fiabe dei tuoi libri!” le parole di Vianestir, la più grande del gruppo, riescono a sovrastare il chiacchiericcio dei compagni.
R sbuffa esibendo una smorfia scocciata non molto credibile, a causa del luccichio allegro degli occhi. “Lo sapete che non dovreste più ascoltare queste storielle da bambini. Che ne direbbero i vostri genitori?”
I giovani colti in fallo iniziarono titubanti a balbettare, mostrando improvviso interesse per le punte delle loro scarpe, finché uno dei piccoli non prende l’iniziativa “Ma non c’è bisogno che lo sanno, no?”.
“‘Che lo sappiano’, Aldelin. Si dice ‘che lo sappiano'” l’anziano bibliotecario torna a sbuffare mentre inizia a dirigersi con passo leggermente malfermo verso il bancone.
“Va bene, tanto lo so che rimarreste qui tutto il giorno se io non iniziassi a leggervi una fiaba”. Con mano sicura prende da un ripiano interno un volume leggermente impolverato e lo appoggia sul bancone, iniziando poi ad frugare alla ricerca di qualcosa.
“Flix, hai visto gli occhiali?”
A quelle parole un piccolo folletto alato dal genere difficilmente valutabile inizia a fare capolino da dietro un libro, per poi gettarsi in una borsa e riemergerne pochi istanti più tardi trillando trionfalmente con gli occhiali tra le braccia.
“Ah, grazie, veniamo a noi…” R alza lo sguardo sui ragazzi che nel mentre avevano trovato una sistemazione sedendosi su bassi ripiani, casse o perfino per terra. “Oggi vi leggerò una storia nuova e…” le sue parole furono interrotte da un fitto brusio di disappunto.
“Ma noi vogliamo una storia fantasy!” L’esclamazione proviene da un ragazzetto coi capelli sorprendentemente corti, ma viene seguita a ruota da grida di protesta di tutto il gruppo: “sì, quella della posta!”, “io voglio sentire di quello che aveva problemi col computer!”, “ma perchè non leggiamo più quella del bimbo che si perde nel supermercato?”.
“Calmi, calmi! Ma chi me lo fa fare, sono troppo vecchio per gestire dei discolacci come voi!” Con queste parole trova faticosamente collocazione su una sedia, appoggiandosi col braccio per sedersi. “Sarà fantasy, solo che sarà diversa. Ora mi fate raccontare o continuate a fare le gnole?” Quel termine straniero che significava all’incirca “piagnistei” ogni tanto faceva capolino nel suo lessico attivo, quando si distraeva, ma ormai i ragazzi ne conoscevano il significato, quindi potendo concentrarsi sull’implicito ultimatum e si rassegnano ad affrontare la novità.
Con misurata lentezza l’anziano apre il libro e appena la piccola folla di ascoltatori si decide a zittirsi, inizia finalmente a leggere.
C’era una volta, tanti anni fa, un giovane uomo di nome Franfranco. Veniva da un piccolo paesino di nome Bottomarza e si era trasferito da poco nella grande città. Ormai aveva 30 anni e non voleva più vivere in casa coi suoi genitori.
Gli ascoltatori iniziano a confabulare rapidamente per calcolare a quanto equivalgono 30 anni umani, una volta stabilita una stima accettabile si calmano e il bibliotecario può continuare a leggere.
Franfranco purtroppo non era molto ricco, anzi. Guadagnava abbastanza solo per permettersi una piccola stanza in una casa con altri ragazzi come lui. Per non parlare del denaro consumato dal suo catorcio. La sua vecchia auto consumava un sacco e ormai erano più i giorni che passava dal meccanico che quelli per strada.
“Cos’è un’auto?” Felisialin si era unito da poco al gruppo e non era ancora ferrato sull’argomento.
Vianestir lo fulmina con uno sguardo per poi rispondergli seccamente “Auto. Una macchina. Tipo una carrozza magica, ma che funziona senza magia”.
L’anziano sorride prima di riprendere.
Oggi era uno dei giorni in cui funzionava e la stava proprio guidando per andare al lavoro. Però era in ritardo. Con il suo vecchio macinino stava percorrendo a zig zag la strada, nel frenetico tentativo di ridurre il tempo di viaggio e arrivare puntuale. Sbatté le mani più volte sul volante, come se questo potesse convincere le altre auto a spostarsi.
Quasi un’ora di tragitto tutti i giorni in mezzo al traffico e un’altra ora poi per tornare. Franfranco era molto stanco, ma ormai lo era spesso in questo periodo, tra i viaggi, gli straordinari quasi obbligati in ufficio e il caos dei coinquilini, non aveva molto tempo per dormire. Ma il problema principale era lo stress. Non tanto per i lavori da consegnare, ma perchè il suo stage stava per terminare e non sapeva se sarebbe stato rinnovato.
R Si ferma, guardando di sfuggita i ragazzi quali non si fanno scappare quell’occasione per interrompere chiedendo spiegazioni, levando un coro di domande:
“Cos’è uno stage e perchè scade?”
“Cosa sono gli straordinari quasi obbligati?”
“Ma perchè è sempre stanco? In questo mondo non hanno la magia, ma c’è tutta la tecnologia, possono comunque lavorare poco!”
Sul viso del bibliotecario si dipinge un’espressione bizzarra. Per immaginarla bisogna aver chiesto almeno una volta nella vita ad un giocatore di ruolo accanito di descrivere la sua ambientazione preferita. Dire che appare soddisfatto sarebbe riduttivo e forse fuorviante.
Il Tielfo si schiarisce la voce pregustando il monologo che potrà tenere. “Allora, visto che non siete più dei neofiti di questa roba, ho scelto di leggervi questa fiaba, sempre adatta a un pubblico giovane, ma in cui si iniziano a introdurre alcune tematiche tipiche di questo genere di ambientazione.” Fa una pausa giusto un istante per raccogliere le idee.
“In questo mondo esiste sì la tecnologia, per cui molti lavori si possono fare sbrigativamente, ma c’è una distribuzione delle ricchezze veramente sproporzionata. Diciamo che è come se il nostro Antico Arcimago Reggente fosse 1000 volte più ricco e allo stesso tempo ci fosse metà della popolazione senza i mezzi necessari per vivere decentemente.” Si ferma un secondo inclinando la testa di lato e fissando un punto sul soffitto per ricordare meglio.
“Se non mi sbaglio si parlava di persone che in un minuto guadagnano quanto un lavoratore medio in 10 anni, o qualcosa di simile, dovrei cercare la pergamena in cui ne parlavano.” Scuote la testa. Il bancone è troppo lontano e non vale la pena alzarsi davvero. “Quindi molte persone non hanno i soldi per comprarsi le tecnologie utili, oppure se lo fanno si devono accontentare della versione scadente. Quindi devono fare molti lavori a mano. Inoltre per molte persone il lavoro viene pagato poco, in modo che i più ricchi possano continuare ad arricchirsi. Così i poveri dipendenti devono lavorare di base parecchie ore al giorno.” Si gratta la base della nuca pensieroso prima di riprendere.
“Che dicevo, ah, sì. Lo stage. Chi fa uno stage è quasi come un dipendente. Però anche se lavora come tutti gli altri, prende circa metà dello stipendio“, scandisce bene l’ultima parola, soffermandosi per vedere se tutti la ricordano.
“Inoltre ha un paio di altre penalizzazioni, ma non vi annoio coi dettagli. Il punto è che dopo qualche mese il datore di lavoro deve decidere se farlo rimanere lì a lavorare oppure no. Per questo deve fare delle ore in più di lavoro gratis, gli straordinari, per dimostrare di essere bravo e che è meglio farlo diventare un lavoratore assunto piuttosto che prendere un altro stagista, anche se sarebbe molto più economico”.
Dopo la tirata si riappoggia soddisfatto sullo schienale, contemplando gli ascoltatori per verificare le loro reazioni.
I ragazzi stavano annuendo pensierosi, provando a digerire la mole di informazioni. Felisialin ad un tratto viene colto da un pensiero improvviso: “Ma non è un po’ inverosimile tutto questo? Se ci sono abbastanza ricchezze per far stare tutti bene, perchè lasciare la gente in difficoltà solo per avere una quantità di soldi che…”, viene preso da un attimo di incertezza, ma si riprende “…beh, mille volte tanto l’Antico Arcimago Reggente? Non servono a niente tutti quei soldi!”
Il bibliotecario annuisce. “Beh, sì. Vista da questo punto di vista non ha molto senso. Però sapete che vi dico? Non sempre chi fa parte di una società riesce a guardarla con abbastanza senso critico da trovarne le incongruenze. Anzi, il più delle volte a uno sembrerà normale, perchè è l’unica cosa che ha visto fin dalla nascita. Mi viene in mente un famoso libro, scritto da un nano. Il Barone del Monte Skiè. Lettere Trovaiane. Parla di un orco che va a visitare il regno dei nani e descrive tutte le cose dal suo punto di vista di straniero, evidenziando tutte le stranezze. Ma non divaghiamo!” Agita freneticamente le mani come a scacciare un nuovo groviglio di pensieri.
“Quel che conta è che secondo me è credibile che in una società i potenti siano così radicati da aver fatto credere a tutti che il loro dominio sugli altri sia una cosa inevitabile e forse anche giusta.”
Prende aria respirando profondamente. quindi accenna un mezzo colpo di tosse prima di riprendere.
La macchina non era in grado di reggere queste velocità in maniera dignitosa e vibrava come fosse un aeroplano in fase di decollo. Franfranco aveva paura di squagliare il motore, ma invece, non si sa come, l’auto non esplose e lui riuscì ad arrivare in tempo in ufficio.
L’aver evitato il ritardo, tuttavia, non lo mise al riparo dalle ire del suo capo. Infatti pochi minuti dopo aver acceso il computer venne assalito da una sfuriata del suo responsabile. “sei un incompetente, tutto il materiale che mi hai inviato lunedì era pieni di errori!”
Franfranco sbiancò a queste parole, poi si ricordò di un particolare importante. “Ma io lunedì non c’ero, si ricorda? Ero dal dentista. Quei file non li ho salvati io lunedì”.
Se il nostro eroe sperava di evitarsi la lavata di capo in questo modo, era destinato a rimanere deluso. “Mi stai dicendo che gli errori sono nelle procedure che ho compilato io?!? Quindi secondo te tu sai fare un lavoro migliore del mio?!?”. Franfranco si sentì mancare mentre le lacrime iniziavano minacciosamente a pizzicargli il fondo degli occhi. Riuscì a malapena ad articolare qualche monosillabo sconnesso e chinò il capo davanti alla valanga di improperi.
“Ma perchè si fa trattare così?” la voce di Aldelin interrompe il racconto.
“L’ha detto prima: il capo deve decidere se tenerlo o no e lui non può rispondere agli insulti!” Vianestir dopo aver risposto incrocia lo sguardo di R, alla ricerca di un cenno di approvazione, che puntualmente arriva a confortarla.
Franfranco lavorò tristemente per tutto il resto della giornata, riflettendo sulla sua vita. Perchè doveva essere tutto così difficile? Lavorare così tanto in queste condizioni assurde, non avere mai abbastanza soldi per stare tranquillo, 800 euro al mese, non riuscire mai a ritagliarsi abbastanza tempo per riposarsi e vedere gli amici. Era disilluso. Come fare per uscire da questa situazione.
La giornata passò lentamente e dolorosamente. Franfranco ormai stremato accolse con tiepida gioia l’arrivo dell’orario di fine lavoro. Poi rimase un’altra mezz’ora, per mostrare che era ligio al dovere e infine uscì, rassegnato.
Sulla via del ritorno si fermò in tabaccheria a comprare un biglietto dell’autobus che avrebbe usato nel fine settimana.
Di fronte all’espressione di vuoto metafisico dipinta sul volto di Felisialin la voce di Insirivien si fa sentire in maniera distinta per la prima volta. “La tabaccheria è un posto strano in cui vendono le cose per fumare, caramelle, biglietti e via dicendo. Un autobus è tipo una macchina, ma più grande, ci possono salire tutti quelli col biglietto e il fine settimana sono i due giorni su sette in cui di solito non si lavora.” con il volto rosso per l’imbarazzo per aver parlato in pubblico, la giovane elfa si blocca, evitando freneticamente il contatto visivo con chiunque.
L’anziano non riesce a trattenere un sorriso prima di continuare.
Non c’era molta fila, quindi dopo pochi minuti di attesa Franfranco arrivò alla cassa e chiese il suo biglietto. Poi guardò gli schermi e fu preso da un’idea improvvisa. “Prendo anche questa schedina del Superenalotto”. Inserì qualche numero a caso e pagò, salutando, prima di ripartire verso casa.
Il vociare dei ragazzi rendeva davvero difficile la lettura. R alzò la testa con uno sguardo perplesso verso gli astanti. “Volete chiedere qualcosa?”
“Sì, che cos’è il Superenalotto?” chiesero quasi tutti praticamente all’unisono.
“Ah! Allora” preparandosi a un nuovo momento di approfondimento l’anziano solleva la schiena dalla sedia sporgendosi in avanti. “Allora, è una specie di scommessa. Si pagano dei soldi per un biglietto e se indovini tutti e sei i numeri usciti vinci e prendi un sacco di soldi.”
“E da dove vengono questi soldi?” La domanda di Aldelin usciva da un viso preoccupato di star ponendo un quesito stupido.
“Vedi, la gente paga i soldi per i biglietti e tutti questi soldi vanno a formare il premio finale. Poi in tutti questi giochi di soldi c’è un problema. Che è lo stesso del gioco d’azzardo, che è praticamente la stessa cosa, ma con più denaro in ballo per ogni giocata…poi non vi parlo di chi gioca in borsa, lasciamo stare!” Scuote la testa rapidamente prima di riprendere. “Il senso è che facendo un po’ di calcoli delle probabilità, si scopre che in media dedicarsi a queste attività fa perdere dei soldi.” La mano dell’anziano scatta avanti con l’indice alzato “Ti anticipo. Perchè la gente gioca se tendenzialmente perde? Volevi chiedere questo vero?”. La testa del piccolo inizia a oscillare verticalmente in maniera affermativa, imitata da quella di alcuni compagni. “Beh, perchè tu non stai comprando soldi, ma la speranza. Se sei disperato, vuoi cambiare vita, ma la società blocca qualsiasi tuo tentativo, non vedi altra via d’uscita se non un grandioso colpo di fortuna che ti possa dare abbastanza soldi da cambiare vita.” L’anziano respira profondamente quindi domanda “Posso continuare?”. Le risposte affermative gli danno il via.
Era già sera quando Franfranco arrivò a casa. Iniziò a smangiucchiare qualcosa di freddo, poi gli venne in mente la schedina. Armeggiò col telefono per cercare, senza molta convinzione, la pagina in cui verificare l’esito dell’estrazione. Il primo numero era uno di quelli giocati, ma questo non lo scosse. Anche il secondo. Panico. 3 numeri corretti su 3 controllati. Quarto numero: 46. Ok, aveva giocato pure quello. Sudore. Il telefono scivolò, ma cadde sul divano. Franfranco lo raccolse freneticamente. Quinto numero 12. Giusto anche quello. La vista si annebbiò, la testa iniziò a girare. Crollò sul divano. Prese fiato e guardò l’ultimo numero. Lo schermo del telefono si era attenuato. Imprecò. Riaccese lo schermo, inserì la password. Le mani tremarono. Il telefono rispose “password errata”. Imprecò di nuovo. Riprese fiato, respirando con calma tre volte. Non riusciva a pensare lucidamente. Anche 5 numeri porterebbero a una vincita consistente. Rimise la password. Corretta. Mordendosi involontariamente la lingua lesse il sesto numero. 42. La risposta a tutto. Giusto anche quello.
La mente di Franfranco come dissociata dal suo corpo osservò sé stesso oscillare verso il frigo, bere un bicchiere da una bottiglia aperta e ritornare a sedersi. Vino. Serviva. Ricontrollò. Sì, sono giusti. Aveva vinto il Jackpot. 12 milioni di euro e spiccioli.
Non sapeva bene cosa fare come prima cosa, poi si decise. Riprese il telefono e scrisse una mail al suo capo “Buonasera, con la presente sono a informarla che sì, gli errori li aveva fatti effettivamente lei e che sì, evidentemente sono in grado di fare il suo lavoro in maniera migliore. Per questo motivo non sono più interessato a proseguire in questo rapporto lavorativo e la informo che dovrà trovarsi un altro sfruttato per sfogare le sue frustrazioni. Cordiali saluti. Franfranco”.
Era libero.
R chiude il libro. I ragazzi iniziano ad alzarsi in piedi discutendo animatamente mentre il bibliotecario si alza con difficoltà e inizia a camminare verso il bancone per riporre il volume.
Proprio mentre i giovani elfi iniziano a chiedere una seconda storia, entra dalla finestra un piccolo folletto blu. “I vostri genitori hanno finito e stanno per tornare a casa!”.
“Oh, grazie Sblirp! Presto, presto che non dobbiamo farci scoprire!” con un trambusto notevole iniziano a scalpicciare avanti e indietro, salutandosi, ringraziando per la lettura e recuperando le loro cose.
Quindi si affrettano a correre fuori per tornare alle loro case.
Il bibliotecario rimane a guardare fuori per qualche istante prima di riscuotersi e tornare al suo lavoro di archivio brontolando su quanto ancora oggi si consideri il fantasy una cosa per bambini. Come se non si potessero utilizzare i mondi diversi per descrivere il nostro. Come se la fantasia fosse un accessorio futile. Che tempi.
Ok, finito. Se vi è piaciuto, ho scritto qualche altro raccontino da usare come Background per alcuni dei miei personaggi. Eccoli.
Se non vi è piaciuto invece sappiate che di solito sul blog scrivo cose più pratiche: guide, recensioni, approfondimenti, ecc. Vi lascio il link alla sezione 5e e quella ai Gdr Generici.
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